Nella provincia di Pesaro, come nel
resto delle Marche, è riscontrabile uno stretto legarne tra
le architetture romaniche e la rete viaria medievale. La
principale arteria dell'epoca era la Via Romea che derivava il
proprio nome dai "romei" o pellegrini provenienti
dai paesi dell'Europa nord-orientale e diretti a Roma. Nel
tratto marchigiano coincideva in buona parte con la Flaminia
che, dopo aver seguito i corsi del Burano e del Candigliano,
correva parallela al Metauro fino a Fano. Numerose erano anche
le sue varianti che mettevano in contatto la Toscana con
l'Adriatico: tra queste ricordiamo la via della Val Marecchia
e quella del Montefeltro. Proprio nella parte mediana della
Val Marecchia, sono ancora ottimamente conservati due gioielli
d'arte romanica:
la Pieve e il Duomo di San Leo.
La prima, intitolata a Santa Maria
Assunta, fu costruita nell'alto medioevo sul sacello dedicato
a San Leone dalmata (sec. IV) ma fu rimaneggiata nell'XI
secolo. L'interno basilicale, presenta un'articolazione in tre
zone ben distinte: le tre navate, coperte a capriate e divise
da pilastri in muratura e colonne classiche di recupero;
l'area presbiteriale, triabsidata, molto rialzata e ben
visibile da tutti i fedeli e la cripta sottostante destinata
alla conservazione delle reliquie. Di grande interesse il
ciborio, in pietra scolpita, donato nell'881 dal duca Orso
signore di San Leo.
Quasi affiancata alla pieve, si erge la
cattedrale di San Leone che, come ricorda una lapide interna,
fu costruita nell'anno dei Signore 1173. La pianta è
basilicale, divisa in tre navate triabsidate. Sotto l'alto
presbiterio si estende la cripta in cui è conservato il
sepolcro del santo protettore. La struttura rivela manifeste
influenze borgognone e lombarde, quest'ultime riscontrabili
anche nei capitelli con figure di telamoni.
Lungo la via dei Montefeltro, in una
posizione geografica strategica tra il passo di Bocca Trabaria
e il punto di confluenza del torrente Mèta con l'Auro,
sorgeva, già prima dell'anno mille, l'abbazia benedettina di San
Michele Arcangelo di Lamoli.
Dell'originario complesso è rimasto
ben poco, ad eccezione della chiesa per altro rimaneggiata nel
XII secolo. La pianta è basilicale, a tre navate, ti
suddivise da pilastri squadrati. Sotto il presbiterio rialzato
si sviluppa la cripta, sostenuta da una colonna centrale.
L'austerità dell'interno corrisponde alla semplicità della
facciata a capanna, in perfetta armonia con il paesaggio
circostante.
In uno dei bracci secondari della
Flaminia, sotto le ripide pareti rocciose del Monte Catria,
sorge invece l'abbazia di Santa Croce di Fonte Avellana.
L'éremo fu fondato nel 980 da San Romualdo che, nel suo
peregrinare, qui si fermò, certamente affascinato dalla
bellezza della natura selvaggia e incontaminata, dalle
sorgenti d'acqua limpida e soprattutto dal silenzio. Ma
l'apogeo di Fonte Avellana coincide con la presenza di San
Pier Damiani, priore nell'XI secolo, che la trasformò in un
centro di irradiazione della vita religiosa pura ed evangelica
oltre che in un faro di cultura per i preziosi codici miniati
che lì venivano pazientemente trascritti. Del primitivo eremo
è rimasta forse solo la cripta del X secolo caratterizzata da
un'ampia abside centrale. La chiesa fu invece consacrata nel
1177 e presenta una pianta a croce latina con transetto e
presbiterio rialzati. Tra i vari ambienti che compongono
l'articolato corpo dei monastero sono di notevole interesse il
chiostro, la sala capitolare, le celle dei monaci e
soprattutto lo Scriptorium. La particolarità di questo
ambiente è data dalle alte finestre disposte sui due lati
grazie alle quali gli amanuensi riuscirono a sfruttare il più
possibile la luce del sole, in ogni stagione.