Casella di testo: Articolo 3

Racconto scritto per partecipare al concorso “Racconta Ravenna 2009

San Giuseppe operaio nel “Villaggio Anic”:

appunti di una ricerca

Lorenzo dott. Fattori

Pagine di storia ed arte locale

Casella di testo: Quando al termine del master in “Progettazione chiese”, organizzato dall’Università di Bologna e dalla Scuola Superiore di Studi sulla Città e il Territorio, mi è stato affidato il tema di ricerca sul concorso nazionale, organizzato dall’arcidiocesi di Ravenna-Cervia nel 1967, per l’edificazione della chiesa nel “Villaggio ANIC”, non pensavo che questa mi avrebbe portato al cuore della storia del boom economico della città. Infatti, l’idea di costruire la chiesa di San Giuseppe operaio la si deve ad Enrico Mattei ed il finanziamento all’ANIC.
Tante pagine sono state scritte e numerose testimonianze sono state raccolte sull’industriale Mattei e sulla sua azienda. Spesso si è accennato alla sua religiosità ed all’idea di mettere a disposizione dei dipendenti della sua impresa non solo un’abitazione ma anche una parrocchia che potesse farsi carico della cura pastorale dei dipendenti dell’ANIC; dipendenti che, arrivando a Ravenna, si trovavano sradicati dalla loro patria, famiglia e storia. Mattei, uomo cattolico, mette a disposizione dei lavoratori un sacerdote, che li accolga ma, soprattutto, che possa facilitare l’integrazione tra i dipendenti e tra azienda e città.
Mattei, di fronte alla mensa aziendale, realizza una baracca in legno adibita a cappella, intitolata a Santa Barbara: qui risiede il cappellano della fabbrica. Nel “Villaggio”, invece, nel corso degli anni le attività pastorali si svolgono in diverse sedi di fortuna, fin quando nel 1969, due anni dopo il bando del concorso nazionale, inizia la costruzione della chiesa in muratura secondo il disegno dell’architetto romano Eugenio Abruzzini. L’architetto utilizza per la chiesa un linguaggio moderno, che non ricorda in nulla l’esperienza degli edifici ecclesiastici ravennati e che non accontenta le aspettative degli abitanti del “Villaggio” e dei ravennati. Mattei aveva promesso una chiesa moderna che avrebbe richiamato nelle forme le grandi basiliche paleocristiane, così come a Metanopoli (la prima città fondata dall’ENI), la chiesa aziendale di Santa Barbara riproponeva il linguaggio del duomo di Milano. Tre mesi prima della morte l’ingegnere, insieme al sacerdote don Quinto Fabbri, accompagnano l’architetto Pier Luigi Nervi nel “Villaggio ANIC” per un sopralluogo con l’idea di affidargli il compito di costruire la chiesa.
Con la tragica morte del Mattei i contatti col Nervi si interrompono e, soprattutto, per molti anni il Villaggio rimane senza una vera chiesa in muratura. Nel 1969 l’ANIC sollecita la curia ad iniziare la costruzione della chiesa: infatti nel 1959 l’azienda aveva già erogato alla diocesi il denaro per tale opera. La costruzione del grezzo in un anno è terminata però mancano i pavimenti, le vetrate, l’arredamento liturgico e l’apparato iconografico; inoltre, le limitate disponibilità finanziarie non hanno permesso la realizzazione del campanile e delle opere parrocchiali. Nel corso degli anni i parrocchiani, i sacerdoti e l’azienda finanziano i lavori per terminare l’edificio ecclesiastico. Un architetto potrebbe definire questi interventi di pessima qualità però, quel che la mia ricerca ha evidenziato, è che i parrocchiani spesso vi hanno lavorato personalmente, ognuno facendo quello che sapeva fare. Così ad esempio Ivano Dari ha eseguito il grande crocefisso del presbiterio, alcuni hanno realizzato l’impianto elettrico, altri invece hanno tagliato e montato le finestre colorate in plexiglass.
Quello che più mi ha sconcertato è che la comunità parrocchiale di San Giuseppe operaio non ha un suo archivio storico: la sua storia è unicamente nelle memorie dei suoi parrocchiani. Queste testimonianze sono simili a delle tessere di un puzzle (forse a Ravenna sarebbe meglio di parlare di tessere di mosaico) che dovevano essere raccolte, trascritte e ricomposte ordinatamente prima che fosse troppo tardi; infatti, molti protagonisti che hanno vissuto gli anni del concepimento della parrocchia ci hanno lasciati ed altri stanno perdendo la freschezza dei loro ricordi e sono annebbiati dagli anni. Così ho capito l’utilità della mia ricerca: recuperando le poche notizie storiche trovate e, soprattutto, attraverso le molte testimonianze di semplici uomini che sono stati protagonisti del proprio passato, ho cercato di ricostruire una piccola storia della parrocchia e della sua gente, certo che ciò sarà un ottimo esempio per istruire le nuove generazioni a non fargli perdere la loro identità.

Lorenzo Fattori